“E per compir la pari, giù botte ai popolari” L'intervento di Egidio Banti per l'anniversario dei fatti di Sarzana pubblicato sull'Avvenire

 

 

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  dal quotidiano Avvenire

“E per compir la pari, giù botte ai popolari...”: i versi di uno degli inni cantati negli anni Venti dalle squadre fasciste ci ricorda come, rispetto agli avversari politici, le camicie nere non facessero poi troppa differenza tra comunisti e cattolici, tra sinistra e centro. I fatti di Sarzana, dei quali mercoledì 21 luglio viene ricordato il centenario, confermano in qualche modo quell’assunto. Alla base della vicenda che, come è noto, vide i carabinieri del capitano Guido Jurgens - fatto pressoché unico in Italia - fermare nel piazzale della stazione di Sarzana oltre cinquecento fascisti, intenzionati a marciare sulla città per liberare dal carcere il loro capo e futuro gerarca Renato Ricci, ci sono infatti alcune “spedizioni punitive” che nei giorni precedenti avevano portato le squadre delle camicie nere di Carrara ad imperversare tra Aulla e Sarzana. In particolare, a Santo Stefano Magra, cittadina che per loro era solo di passaggio, ma tanto bastava, vennero uccise due persone, e una terza morì alcuni giorni dopo. Uno dei tre, Luigi Del Vecchio, di 47 anni, era un iscritto al partito popolare, un altro, Edoardo Vannini di 36 anni, era suo cognato, e il terzo, Teodoro Felice Ferrari, viene presentato da alcuni giornali di allora come “clericale”. In realtà, Santo Stefano era, in quel periodo, una roccaforte del partito di don Sturzo nella vallata, mentre, al contrario che a Sarzana - dove i socialisti avevano vinto le elezioni dell’anno prima, insediando a palazzo Roderio il sindaco Pietro Arnaldo Terzi -, in quel periodo non risulta ci fossero sezioni attive socialiste né tanto meno comuniste. Ma per gli uomini di Ricci, che proprio in seguito ai fatti di quel 17 luglio venne arrestato con altri camerati, non c’era molta differenza, al di là delle parole concilianti che in quei giorni Mussolini pronunciava alla Camera. Le violenze del resto, di qualunque tipo, non potevano essere in alcun modo accettate dal partito che richiamava la propria ispirazione cattolica. Vannini e Del Vecchio sarebbero così stati uccisi solo perché gli abitanti del borgo avevano difeso da insulti e violenze una ragazzina di dodici anni, Dina Giannini, colpevole soltanto di indossare un ... vestito rosso. Cento anni dopo le cose, per fortuna, stanno diversamente. Ma la violenza e la sopraffazione, così come le ingiustizie di ogni genere, covano spesso sotto la cenere. Anche se non è impossibile scorgerle in anticipo, come l’”uovo del serpente”, per citare il film di Bergman sulle origini del nazismo in Germania. Il centenario di Sarzana, nei prossimi giorni, aiuterà a riflettere anche su questi temi.

Egidio Banti

Sempre su questi temi, Egidio Banti aggiunge su Facebook:" La testimonianza più insospettabile, e quindi sincera, sul valore storico dei fatti di Sarzana, è quella di uno dei fascisti presenti quella mattina, Umberto Banchelli, nel libro intitolato appunto “Memorie di un fascista”: “Il fascismo non ha potuto svilupparsi che grazie all’appoggio degli ufficiali, dei carabinieri e dell’esercito: [a Sarzana] dieci fucili hanno messo in fuga cinquecento fascisti non solo perché hanno sparato, ma perché sparando hanno messo una volta tanto fuorilegge gli squadristi, sbalorditi di trovarsi bruscamente dall’altra parte della barricata”. Questo è esattamente il senso della frase, semplice ma efficace, sempre ripetuta da Sandro Pertini: “Se in tutte le città fosse avvenuto come a Sarzana, il fascismo non sarebbe passato”. Si deve aggiungere che il capitano Jurgens fece quel che fece, obbedendo agli ordini ricevuti, anche perché sapeva di avere l’appoggio della popolazione e il sostegno leale dell’amministrazione, con il suo sindaco Terzi, che ugualmente si fidava di Jurgens…"

Egidio Banti