La recensione del film "NELLA CITTA' PERDUTA DI SARZANA" 1980 Regia Luigi Faccini /L'incontro del regista Luigi Faccini con Sandro Pertini/Il dibattito sul film/Morando Morandini intervista Luigi Faccini
QUI potete scaricare il film completo
Qui potete vederlo direttamente
dal Blog le Recensioni di Robydick
 |
Riccardo Cucciolla- Il sindaco Terzi
|
Due ore mi son parse poche e quando dico questo la ragione è sempre la
stessa: la mia insaziabilità di fronte a prodotti che mi accrescono,
umanamente intendo. Non conoscevo "I fatti di Sarzana" ed era un
peccato, perché conoscerli, conoscere la propria storia è fondamentale.
Sapere che in quegli anni di cui possiamo solo vergognarci, di fronte a
noi stessi e al mondo, c'erano "sacche di resistenza di civiltà" non
solo inorgoglisce, quanto incoraggia a pensare che persino nel buio più totale
ci sono uomini che hanno il coraggio di difendere i propri diritti e
principi, che ragionano e prendono delle scelte a rischio della propria
vita non solo per difendere un proprio interesse privato ma per un bene
comune.
 |
Franco Graziosi- L'Ispettore Generale Trani
|
Sì, è molto incoraggiante. Forse per questo Faccini, coadiuvato da eccellenti prove attoriali tra le quali segnalo quella del mio amato Riccardo Cucciolla
nei panni del sindaco socialista di Sarzana - non teme e calca invece
la mano sui primi piani dei suoi protagonisti, come quelli sul Prefetto
Trani (Franco Graziosi, ottimo!) o sul comunista Giuliani (Bruno Corazzari,
imponente in ogni senso) capo degli Arditi del Popolo e sola figura di
pura invenzione quanto importante, della quale invito a leggerne nel
Dibattito in appendice.
 |
Bruno Corazzari- Il comunista Giuliani |
Primi piani bellissimi anche dei sarzanesi, a
valorizzare la gente comune e la genuinità della loro forza.
Un nemico comune, i fascisti spezzini e toscani che minacciano
continuamente, e la difficoltà di restare uniti. Da Roma arrivano
segnali contrastanti, i Carabinieri e la Guardia Regia non è mai ben
chiaro da che parte stanno, e la popolazione che alla fine, tutti, donne
comprese, decide che la legge si rispetta se aiuta il popolo a vivere
mentre se serve solo a vessarlo allora no! Condivido. Fecero bene a
tenersi le armi i sarzanesi, fino a quando fu possibile farlo,
infliggendo una durissima lezione a quei porci, gente di caratura umana
sottozero che solo nell'avvento di un regime violento, cafone e
ignorante poteva trovare spazio per emergere. Voglio vedere da vicino le
loro facce! Sì, quelle dei sarzanesi, di Trani, di Giuliani, del
sindaco ma anche quelle dei porci, e il trasporto emotivo quando finisce
mi porta a stimare quegli attori in camicia nera e fez, per aver
interpretato una parte che io, colmo di disprezzo per quei personaggi,
non avrei mai potuto fare. Il saluto fascista mi è impossibile...
Cosa potrà pensare un fascista - e l'Italia ancora ne è piena e incinta -
di un film del genere? E' una domanda che mi sono posto. Faccini li
ritrae per quel che erano. Non ci sono le stupide caricature fatte da
registi da oscar, non ci risparmia le sofferenze che dovettero subire.
La caccia di cui furono lepri è un momento d'azione entusiasmante come
cinema, drammatico nella sostanza. Una donna che schiaffeggia un "bocia"
in nero che chiama la mamma glielo sputa in faccia: "...e le mamme di quelli che assassinate voi che devono dire?",
per poi risparmiarlo.
La fuga dei fascisti nelle campagne sarzanesi, inseguiti dagli Arditi, dagli Anarchici e dalle donne sarzanesi. (Dal film "NELLA CITTA' PERDUTA DI SARZANA"regia LUIGI FACCINI, 1980)
Mi piacerebbe sentire l'opinione di un fascista
contemporaneo, l'accoglierei nei commenti col massimo rispetto. Non mi
venga però a dire "Faccini è di sinistra, questo spiega tutto"
perché sarebbe una cazzata. Perché un film così non lo fa uno di loro
allora? Mi rendo disponibile da subito a parlarne... Non c'è
"partigianeria", qua è tutto alla luce del sole, e se i colori sono
"anticati" come si conviene la luce invece abbonda. Le scene notturne
poche, ma grandiosa ed epica quella della notte tra il 20 e il 21 Luglio
1921 alla stazione quando un piccolo manipolo di carabinieri comandati
da Jurgens affronta centinaia di fascisti in spedizione.
Le scene si "aprono" in alcuni interni a grandangolo che sottolineano la
solitudine di alcuni momenti, o la grande partecipazione in altri.
Campi lunghi sul fiume, o a riprendere meravigliosamente la scena che
compare nella copertina del DVD, altro momento ad altissima tensione,
pochi carabinieri comandati da Nicodemi, il quale piazzerà un categorico
schiaffone sulla faccia del ras di Carrara, Renato Ricci, prima di
arrestarlo insieme ad altri camerati.
17
luglio 1921. Un gruppo di carabinieri, comandato dal tenente, Nicodemi
ferma i fascisti che tornano dalla Lunigiana nei pressi di Ponzano. I
fascisti, comandati da Renato Ricci, fuggono lungo il fiume dove vengono
intercettati dagli Arditi del Popolo e dagli Anarchici, quindi
arrestati e portati nel carcere della Cittadella a Sarzana. (dal film
NELLA CITTA' PERDUTA DI SARZANA, regia LUIGI FACCINI 1980)
Capolavoro da mostrare in tutte le scuole, con una coraggiosa e riuscitissima colonna sonora originale composta da Vittorio e Gianni Nocenzi. Fratelli fondatori del noto gruppo "Banco del Mutuo Soccorso", ancora in attività, già collaborarono con Faccini per "Garofano Rosso",
prossima recensione. Rock-progressive senza essere estremo, pezzi solo
musicali, che accompagnano quasi come un effetto sonoro certi momenti,
come le marce dei soldati dove l'elettronica cadenza la marcia. Per chi
ama il genere come me è un piacere. Adorna il film di un'aura di
modernità che penso agevoli ancora oggi la visione anche ad un pubblico
molto giovane.
Ci sono quei dettagli che amo sottolineare, ce n'è tanti. I piedi nudi
dei paesani in festa, ne ho quasi sentito l'odore mentre roteavano sulla
pista da ballo coperta di sabbia, per ospitare chi le scarpe non le
aveva. Il corpo del musicista gratuitamente ucciso dalla squadraccia di
Ricci è in croce come lo vedremmo se guardassimo verso l'alto il Lui
famoso del Golgota.
Ne scelgo uno su cui soffermarmi, poi chiudo, ed è quello della
preparazione del corpo di un anziano contadino ucciso senza alcun senso,
mentre lavorava nei campi e il regista non ha degnato nemmeno di un
ritratto l'assassino: sarà mica stato un essere umano quello! Si
vedranno solo le brache e la mano della bestia che spara, il primo piano
è sulla vittima, quello è un Uomo, imperlato dal sudore, dalla fatica
del lavoro e di una impossibile fuga. Il solo risultato finale vero,
reale, certo, che nessuno potrà mai confutare, di ogni violenza o
guerra, sono i morti.
La vestizione del contadino ucciso dai fascisti. (dal film NELLA CITTA' PERDUTA DI SARZANA regia LUIGI FACCINI, 1980)
Quella vestizione lunga, dettagliata nella sua minuziosità, è una
Cerimonia silente e commovente come poche scene lo sono state nella
storia del Cinema. Ho pianto. Carica di dignità, senza strazi di urla
che impediscono alla mente di raccogliersi, con una luce accecante dalla
finestra a sottolineare un dramma non cupo e un cielo che attende di
accogliere l'ospite, quel frame sembra un quadro di Caravaggio solo meno
colorato, quei gesti cancellano tutta l'esclusiva che vogliamo trovare
in oriente su questi temi quando invece ce l'abbiamo in casa. La morte è
davvero una Livella, tra classi, epoche e culture... Le donne, sempre
loro a svolgere compiti ingrati, ma non è vero che questo è un compito
ingrato!, è solo che gli uomini emotivamente pavidi e pigri si
risparmiano servigi che costringono ad entrare in empatia col divino. La
fiamma delle due candele sul comò è verticale, non circola aria,
l'ambiente odora di morte e forse incenso, nessuna parola viene detta e
quel rosario è fermo nelle mani di una donna che appare incredula per
quella morte inutile, restando presente, non si assenta al rito
officiato solo da una, credo la moglie dell'uomo che compie il suo
ultimo gesto d'amore, facendo quanto occorre e rimandando i Perché ad un
altro momento, ora non le serve saperlo.
Robydick
--------------------------------------------------------
LA GENESI DEL FILM E L'INCONTRO CON SANDRO PERTINI
Un film così non si fa in 2 giorni. Uscito nel 1980 ebbe inizio come
progetto e lavoro nel 1976. Leggiamo dallo stesso Faccini tutta la
travagliata genesi dalla quale trapelano le difficoltà, la
determinazione del regista, e tante altre cose che saranno evidenti:
Tra burocrazia e censura
1976: propongo a Giovanni Leto, Rai 2, un film sui “fatti di Sarzana del 21 luglio 1921”. È giugno.
1977:
il progetto è definito «costoso» e vengo invitato ad elaborare
un’ipotesi narrativa più economica. Identifico un “io narrante” nella
figura dell’Ispettore Generale Vincenzo Trani. Attorno alla sua
inchiesta strutturo il racconto. È agosto. Giovanni Leto presenta il
progetto al CdA della Rai. Viene approvato. A ottobre firmo il contratto
per la sceneggiatura. Non vuol dire che la realizzazione del film sia
garantita. È il passaggio che consente alla Rai di diventare
proprietaria della proposta.
1978:
a fine gennaio è pronta una stesura in tre puntate. Giovanni Leto
osserva: «Voglio un film non uno sceneggiato televisivo». Tagliare è
divertente. In capo ad un mese c’è la sceneggiatura per un film di due
ore. Intanto coltivo il mio rapporto con l’amministrazione comunale di
Sarzana e con la struttura esecutiva della Filmcoop, cooperativa di cui
sono socio, delegata a produrre, dopo Garofano rosso, anche questo film.
Nascono le prime difficoltà. Il film dovrebbe essere a “doppia
destinazione”: tv e cinema. Cerco ed ottengo un contratto di
distribuzione cinematografica con un “minimo garantito” di cento
milioni, oltre ad un art. 28 pari a cinquanta milioni. A tutto questo
aggiungo la “compartecipazione” della Filmcoop. La Rai dovrebbe entrare
nel film con una quota produttiva di duecentocinquanta milioni. Ma il
suo CdA non ha ancora definito la procedura riguardante i film a ”doppia
destinazione” e il meccanismo della co-produzione con le strutture
esterne. Giovanni Leto mi propone una realizzazione “interna Rai”, con
telecamere o pellicola. Punto i piedi. Cominciano i litigi. La città di
Sarzana metterà a disposizione ambienti, servizi, logistica, comparse.
Mi faccio forte del risparmio che si realizzerebbe se a produrre fosse
la mia cooperativa. La Rai non sente ragioni. Nemmeno quelle economiche.
Si manifestano anche le preclusioni nei confronti delle cooperative di
produzione culturale.
1979:
il rischio che il film “salti” è forte. Giovanni Leto non può perorare
la causa della mia cooperativa. Già deve difendere il film dalle censure
politiche nel quale potrebbe incorrere («Se vuol fare il film nessuno
deve leggere la sceneggiatura...», mi disse un bel giorno). Sono io che
devo scegliere. Cedo, per salvare il film. Con la Filmcoop viviamo
l’episodio per quello che è: una discriminazione politica e una
sconfitta del movimento della cooperazione culturale. Escludo una
realizzazione con le telecamere. Si farà un film in pellicola, tutto a
Sarzana. Le dotazioni che l’amministrazione comunale aveva promesso alla
Filmcoop passano alla Rai, segnatamente al centro di produzione di
Milano, che quantifica il costo del film in trecento milioni “sotto la
linea”, esclusi cioè attori, auto d’epoca, effetti speciali, sviluppo e
stampa, edizione, ecc.: insomma circa novecento milioni. Praticamente il
doppio di quanto sarebbe costato se l’avesse prodotto la Filmcoop.
È luglio quando iniziano le riprese. Ho a disposizione una troupe di
cinquanta e più persone, nella quasi totalità provenienti da esperienze
di studio televisivo, che in esterni si smarriscono. La determinazione e
la rabbia, ma anche il sostegno della città di Sarzana, mi consentono
di arrivare in fondo ad una galoppata di due mesi. Ma i litigi con la
Rai non finiscono. Dopo un felice montaggio milanese, in compagnia di un
montatore, Gianni Lari, che via via si entusiasma, ma anche il sereno
incontro con gli attori che vengono a doppiarsi, ecco che inciampo in
una incapacità a missare professionalmente il film. Interruzione della
lavorazione. Scontri tempestosi. Giovanni Leto ne ottiene il
trasferimento a Roma; e, finalmente, tutta la fatica di anni si compie.
Un vecchio pirata del cinema romano, Romano Checcacci, fonico, presta
orecchie e mani alle voci, ai rumori, alle musiche del film. È giugno.
Si può andare al taglio del negativo. Carlo Lizzani, nuovo direttore di
Venezia, vuol vederlo...
Verrà proiettato alla Biennale di Venezia (1980), sezione controcampo. Poi a Milano, Panoramica ’80, Valladolid (1980), Incontri d’autore di Carrara (1980), Nizza (1981), Villerupt (1981). Al Festival del cinema neorealistico di Avellino (1981) ottiene la Targa d’Argento Pietro Bianchi.
Ancora: proiettato a Bologna, Firenze, Parma, Reggio Emilia, Torino e
in altre numerose città italiane. A Sarzana la programmazione durò dieci
giorni.
In onda, il 22 e 29 agosto 1981, alle ore 20 e 40, su Rai 2, seguito da
un prestigioso dibattito tra i massimi storici del tempo Renzo De Felice e Paolo Spriano.
Il film non è mai stato replicato. Oggetto, invece, di tesi e seminari su “cinema e storia” nelle maggiori università italiane.
La programmazione della Rai, che pure aveva prodotto il film, non fu scontata, anzi:
Dopo l’esordio al festival di Venezia e il grande successo di critica
e di pubblico (a Lizzani fu rimproverato di non averlo presentato in
concorso), su Nella città perduta di Sarzana cadde il silenzio.
Attraverso Beniamino Placido, e una sua telefonata ad Antonio
Maccanico, allora Segretario generale di Sandro Pertini, Presidente
della Repubblica, trovai il grimaldello che scardinò la porta della
cella (socialista e craxiana) in cui stava rinchiuso. Placido propose
una visione del film al Quirinale. Maccanico si mise a disposizione. Una
frotta di generali con signora, in attesa di rinfresco, videro la copia
in assoluto silenzio, aspettando che Pertini emettesse il suo giudizio.
Che non veniva. Io gli camminavo a fianco lungo un interminabile
corridoio. E un po’ friggevo. “Io c’ero!”, disse Pertini. “Nel 1921, Presidente?”, dissi io. Gli invitati si fermarono, mentre Il Presidente ed io proseguimmo. “Io commemorai i fatti di Sarzana...”, disse. “Nel ’46...”, aggiunse. “Chissà quante favole le avranno raccontato i sarzanesi...”, dissi io, ma mi sarei morso la lingua. “Giovanotto, ho l’aria di uno a cui si raccontano bubbole?”, disse, ma mi sembrò che si divertisse. “I sarzanesi vanno orgogliosi delle gesta dei loro padri. Ma a volte esagerano...”. Assentì, portando la pipa alla bocca. “Il film è bello! Andò proprio così!”, disse ad alta voce. La frotta dei generali, con signora, si avvicinò, ricomponendo un corteo animato.
Avevo proiettato una copia del film non restituita alla Rai dopo il
Festival del Cinema Neorealistico di Avellino, dove aveva ricevuto la
Targa d’Argento Pietro Bianchi. La Rai era all’oscuro di tutto,
naturalmente. E la sorpresa di coloro che avevano brigato, invano, per
impedire l’accesso del film a Venezia, fu davvero grande quando trapelò
il plauso di Pertini, che da socialista, ligure, disse pubblicamente che
loro, a Savona, il patto di pacificazione con i fascisti non l’avevano
firmato. La Rai dovette programmare il film. Immaginate quando? Alla
fine di agosto del 1981. Sulla seconda rete, ma in prima serata. E
seguito da un dibattito che più prestigioso non poteva essere, tra Renzo
Del Felice e Paolo Spriano, i massimi storici dell’epoca. Io venni
invitato mentre ero in viaggio verso il sud, per le mie vacanze. Il
dibattito, uno straordinario duello alla spada, lo vidi in tv. Da quella
sera dovetti girare al largo dalla fiction televisiva. Per me non ci fu
più posto. Una specie di fortuna, poiché da quegli anni sviluppai le
mie doti di ricercatore selvaggio, nelle strade, tra i poveri, i
marginali, i devianti, nella campagne abbandonate, tra i migranti. Sono
quello che sono perché un potere, caduco (ma recidivo nella replica
berlusconiana), credette di potermi soffocare. Sono ancora qui a
raccontare ciò che vivo e penso...
Faccini esce quindi dalla Rai ed entra nell'Olimpo dei registi
che fanno del Cinema un mezzo d'espressione visiva e
comunicazione/divulgazione a un tempo, senza più alcun compromesso da
dover subire. Mi ha inviato anche 2 grandi pezzi che metto stavolta in
appendice, e sono appunto il dibattito citato, tra gli storici De Felice e Spriano, e l'intervista che rilasciò a Morando Morandini. Letture obbligatorie.
----------------------------------------------------
29 agosto 1981: dibattito sul film
con Renzo De Felice - Paolo Spriano
conduce Arrigo Petacco
Renzo De Felice: Ci sono due tipi di impressione che mi provoca
il film. Da un lato è molto suggestivo, prende, direi che rende
l’atmosfera dell’epoca e della vicenda specifica di Sarzana. Dall’altro,
mi sembra inevitabile che nella trasposizione cinematografica di una
vicenda storica ci sia, ogni tanto, qualche cosa che forza la realtà. È
certo un espediente drammaturgico. In fondo c’è una vicenda corale, c’è
una serie di protagonisti, ma poi direi che il regista ne ha scelto due,
essenzialmente, quelli che più rendono la dialettica del racconto. Uno,
l’Ispettore Generale Trani, mandato da Roma, l’altro è l’esponente
comunista, Giuliani. Sono questi due personaggi, molto efficaci
peraltro, che sento un pochino forzati, che risentono più degli altri
del senno di poi. Penso che il comunista sia addirittura un personaggio
di invenzione, che non parla come un comunista del ’21, ma dei giorni
nostri...
Paolo Spriano: La mia impressione è che si tratti di un racconto
storicamente fondato, non solo suggestivo, ma emozionante. Sono passati
sessant’anni da allora ed è abbastanza naturale che lo spettatore da un
lato si stupisca di quelle cose, dall’altro tenda a leggerle in una
chiave attuale. Questo è inevitabile per ogni ricostruzione storica, in
quanto è anche spettacolo. Lo stesso Petacco mi insegna che basta far
dire in una certa maniera una battuta tratta da un documento, che quelle
parole assumono un significato più forte (o più debole, a seconda della
strategia narrativa del regista) di quella scritta.
Ma l’impressione di fondo, al di là dei protagonisti singoli, è che il
film punti in alto e raggiunga il suo obiettivo. Lo dico proprio
entrando nel merito di ciò che De Felice ci invita a fare, cioè
distinguere tra fascismo come fenomeno e l’insieme della classe
dirigente della borghesia, perché i fatti di Sarzana sono un episodio di
guerra civile, ed uso queste parole nel significato che più loro
competono, un episodio particolarmente drammatico della lotta di classe
in Italia. Perché il fascismo appare in Italia, non sulla luna, e nei
singoli paesi italiani, dove vengono assaltate le case del popolo, le
cooperative, le sezioni socialiste, le leghe bracciantili, mostrandosi
come il braccio armato di chi sfrutta gli operai e i contadini.
Protagonisti del film sono, da un lato, il popolo di Sarzana, dall’altro
c’è lo Stato, drammaticamente impersonato sia dal Capitano dei
Carabinieri, che dall’Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, un
funzionario tradizionale, di stampo giolittian-nittiano; e poi ci sono i
fascisti, che vengono in forze, nel tentativo di imporre con la
violenza un ordine antiproletario. Per me il discorso critico sul film
incomincia da qui...
Arrigo Petacco: Il sindaco di Sarzana, Franco Baudone, grande
sostenitore del film, mi ha confermato che il comunista Giuliani è una
invenzione di Luigi Faccini,
il quale parrebbe essersi ispirato ad un capo lega socialista di nome
Luciani. Ma a parte questo fatto secondario, quello che vorrei chiedere a
Renzo De Felice e Paolo Spriano, è se un comunista, nel luglio del ’21,
a pochi mesi dalla scissione di Livorno e dalla fondazione del Partito
Comunista d’Italia, poteva parlare così...
Paolo Spriano: La lezione di fondo della storia di quell’epoca è
la lezione di un fascismo che trionfa anche per le divisioni della
sinistra e della classe operaia, ma anche della divisione del fronte
antifascista. Senza spirito di parte, vediamo le cose come stanno. Il
problema se Giuliani sia esistito, in carne ed ossa, così come ci viene
mostrato, è del tutto secondario. Se voi avete notato, anche nell’ultimo
episodio, dopo la strage di Roccastrada, quando la popolazione di
Sarzana è accorsa in municipio, questo personaggio, bellissimo
personaggio direi, legge l’Ordine Nuovo e parafrasa, leggendolo,
un articolo famoso che Gramsci scrisse proprio dopo “i fatti di
Sarzana”. Sono parole di allora, scritte da un uomo di allora, lette in
pubblico da un uomo di allora. Dov’è il problema? Gramsci era un maestro
per i militanti comunisti! Quello che mi interessa mettere in evidenza è
che esistevano posizioni molto differenti, rispetto al modo in cui
rispondere allo squadrismo. L’articolo di Gramsci comincia con una lista
di morti, seimila in un anno e mezzo, forse eccessiva, ma bisognerebbe
riscontrarla sui documenti della polizia di quegli anni, parla di cose
estremamente vere, cioè di quelle migliaia e migliaia di operai e
contadini già uccisi dalla violenza fascista. Di fronte a questo ci sono
due tipi di risposta, in quel momento. Io non dò un giudizio morale, ma
c’é una risposta comunista, quella di non lasciarsi vincere dalla
violenza, che trova uno sbocco nella comparsa degli arditi del popolo.
Dall’altra parte c’è la posizione socialista, che culmina nel patto di
pacificazione, siglato soltanto da loro, insieme alla CGL-Confederazione
Generale del Lavoro, e i fascisti. I comunisti non ci sono. Ma nemmeno i
popolari e i repubblicani. Esistevano grandi differenze di
atteggiamenti, parole e scelte, nei confronti del fascismo. È da lì che
dobbiamo partire...
Arrigo Petacco: Partiamoci...
Renzo De Felice: Sono completamente d’accordo con quello che dice
Spriano. Quando io dicevo che Giuliani parla più con il linguaggio di
oggi che con quello del ’21, mi riferivo al linguaggio in senso proprio e
anche un po’ alla sicurezza di analisi che c’è nelle parole di quel
personaggio. Nella realtà questa sicurezza era molto minore...
Paolo Spriano: Ma sono le analisi di Gramsci che il personaggio fa proprie!
Arrigo Petacco: A volte c’è anche nel sindaco socialista di Sarzana, Terzi, una certa sistemazione storicistica...
Renzo De Felice: Tu m’insegni, Spriano, che il Partito Comunista,
lo stesso Gramsci, elaborarono un giudizio sul fascismo con estrema
fatica, per lo meno in quel periodo. E anche con oscillazioni molto
forti. A un certo punto, se non ricordo male, Giuliani, usa
l’espressione «colpo di Stato»...
Paolo Spriano: È sempre Gramsci, in quell’articolo...
Renzo De Felice: Però, direi, quand’è che i comunisti parlavano di «colpo di Stato»?
Paolo Spriano: Si parlava di colpo di Stato monarchico...
Renzo De Felice: Ecco...
Paolo Spriano: Militarista...
Renzo De Felice: Ripeto, si sente una chiarezza che allora non c’era...
Paolo Spriano: C’erano posizioni molto differenziate. C’erano
diversi gradi di chiarezza. Gli stessi fascisti che chiarezza avevano su
se stessi?
Renzo De Felice: Infatti, loro stessi non sanno bene come autoimmaginarsi. Quello che mi colpisce
nel film è ascoltare giudizi che sanno dell’acquisizione morale, storica e politica, di decenni dopo...
Paolo Spriano: Ma le parole pronunciate dal comunista Giuliani
sono quelle che legge dal giornale! È noto che Gramsci fosse abbastanza
favorevole agli arditi del popolo, mentre Bordiga, allora capo del
partito, pensava che i comunisti dovessero rispondere al fascismo con
proprie squadre. È una questione che io e De Felice abbiamo dibattuto
lungamente. Ma al di là di questo, il tipo di risposta, attiva, quel non
cedere alla violenza, dentro uno Stato i cui caratteri di classe erano
evidenti, dentro la sovversione fascista, diventarono una condizione
necessaria. Ecco allora Sarzana, Empoli, Scandicci, Roccastrada, Parma,
tragedie della sconfitta, ma battendosi. È proprio quel battersi che
diventa tradizione e memoria. Voglio ricordare un episodio: Ilio
Barontini di Livorno, Picelli di Parma, Francesco Leone di Vercelli,
arditi del popolo nel ’21 che diventano comandanti garibaldini in
Spagna, riversando quella esperienza nella tradizione garibaldina della
Resistenza, dopo aver digerito la lezione delle divisioni tra le varie
anime della sinistra. Perché non ci sia equivoco e prima di discutere
del “patto di pacificazione”, voglio soffermarmi un attimo su Turati.
Avete visto, nel film, verso la fine, si parla di lui in occasione del
voto di sfiducia socialista a Bonomi, il 23 luglio 1921. Turati non è
teoricamente contro una resistenza di massa al fascismo. Turati è l’uomo
che nell’agosto del 1922 è per lo sciopero legalitario. Quando la
situazione è compromessa, Turati è l’uomo che si batte di più perché ci
sia una risposta di massa. Ma è tardi. È tardi e di qui si comincia la
discesa verso la presa del potere di Mussolini...
Arrigo Petacco: Non dimentichiamoci che nel giugno del ’21 da Mosca si chiedeva l’espulsione di Turati dal Partito Socialista...
Paolo Spriano: La scissione di Livorno tra socialisti e comunisti
era avvenuta nel gennaio del ’21. Chi è anche molto critico nei
confronti dell’Internazionale Comunista, deve riconoscere che nel ’21 fu
proprio il Partito Socialista ad essere settario. Perché Lenin,
Bucharin, Trotskij, Zinoviev, consigliavano invece un’unità d’azione.
Lenin disse a Terracini, adesso basta con la lotta ai socialisti,
espellete Turati e poi alleatevi con lui! Ed è Bucharin che consiglia i
comunisti di sviluppare gli arditi del popolo, mentre tra i bordighiani
c’è una forte volontà negativa a seguire quella strada...
Arrigo Petacco: A proposito del “patto di pacificazione”! Nel
film si potrebbe decifrare questo messaggio: i socialisti, firmando il
“patto di pacificazione”, danno ai fascisti il grimaldello
per conquistare il potere. È così? È accaduto così?
Renzo De Felice: Su questo direi nettamente di no. Nel film si
parla molto del “patto di pacificazione”. Anche perché, in quei giorni,
tra l’inizio delle trattative e la stipula, che avviene il 3 agosto, non
si può non parlarne. Però il “patto di pacificazione” bisogna vederlo
da più punti di vista. È un patto estremamente importante, se vediamo
gli avvenimenti nell’ottica dei fascisti. Si tratta di un momento di
svolta per Mussolini, perché lui, a torto o a ragione, forse a ragione, è
convinto che, militarmente, il fascismo (dopo i primi grandi fatti
squadristici, Palazzo d’Accursio, la primavera-estate del ’21,
soprattutto nella Val Padana) avesse vinto e che insistere in un’azione
militare di quella drammatica violenza gli si poteva rivolgere contro,
politicamente. Sia perché le simpatie che il fascismo aveva conquistato
nel campo borghese potevano venir meno. Sia perché un fascismo così
violento, continuando una guerra che aveva ormai vinto, poteva sfuggire
al suo controllo, finendo totalmente nelle mani degli agrari e delle
forze che lo utilizzavano. Quindi il “patto di pacificazione” è, per
Mussolini, in vista del potere, un fatto molto preciso, soprattutto
perché, in una fase iniziale, l’operazione voluta da Mussolini fallisce.
Gran parte del fascismo non accetta il “patto di pacificazione” e pone
in discussione perfino la guida di Mussolini. Direi che il “patto di
pacificazione” è l’episodio più importante della storia del fascismo in
quei due anni, 1921-22. Intendo storia interna... Per gli altri, i
socialisti, l’importanza del “patto di pacificazione” è molto minore. I
socialisti, con infinite incertezze, in mezzo a contrasti laceranti, lo
accettano. Ma perché lo accettano? Alcuni per avere una pausa, per
riorganizzarsi, perché i colpi dello squadrismo sono stati tali che
accettarlo diventa una scelta obbligata. Altri lo accettano perché si
rendono conto che i fascisti non lo potranno attuare e che, quindi,
toglierà loro la maschera, per lo meno a Mussolini, il quale sostiene di
essere cosa diversa dai suoi squadristi. Poi c’è una terza cosa che nel
film si percepisce: che il “patto di pacificazione” viene firmato da
fascisti, socialisti e Confederazione Generale del Lavoro. Un modo per
tenere unita quella sinistra, come dice Spriano, già tanto divisa.
Perché il rischio, per la Direzione socialista, qual’era? Che alla firma del “patto di pacificazione” ci andasse soltanto la Confederazione, cosa che sarebbe stata la completa rovina della sinistra...
Paolo Spriano: Il “patto di pacificazione” fu un errore dei
socialisti. Il giudizio che ne dette Pietro Nenni fu estremamente
negativo. Come negativo fu quello di tutta la storiografia socialista.
Addirittura si parla di obnubilamento socialista, di incomprensione.
Incomprensione di che cosa? Qui voglio mettere in rilievo due elementi
che si trovano proprio nel capitolo che De Felice ha dedicato al “patto
di pacificazione”. E i fatti di Sarzana sono legatissimi al processo di
stipula del “patto di pacificazione”, condizionandolo. Il primo elemento
è che i socialisti si illudono di mettere in crisi il fascismo, ma non
capiscono che la dinamica del fascismo è quella di continuare nella loro
azione doppia, di inserimento nella macchina statale e di violenza
pura. Tanto è vero che Mussolini, a un certo punto, deve fare marcia
indietro, rispetto a Grandi, rispetto a Farinacci. Soprattutto i
socialisti non comprendono che, disarmando le capacità di resistenza
attiva delle masse, tutta la situazione passava più a destra, aprendo il
varco nel quale la medesima destra sarebbe poi passata. E bisogna
aggiungere un’altra cosa: che nelle intenzioni di Bonomi (De Nicola si
limitò a fare da levatrice) il “patto di pacificazione” è volto ad
isolare i comunisti, l’ala meno disposta alla transigenza con il
fascismo. In Mussolini c’è un’intenzione molto nebulosa di fare di
questo patto lo strumento per costruire una maggioranza a tre. C’è un
suo articolo, o discorso, non ricordo bene, in cui si parla delle tre
grandi forze nazionali, il socialismo, i popolari e il fascismo, che
dovrebbero formare una maggioranza di governo. Ora, anche nella reazione
settaria di Gramsci, più del partito che di Gramsci, c’è però la
convinzione che non si arriverà a nulla su quella strada. Anche De
Felice si è posto la domanda se comunisti e anarchici non avessero
ragione su l'errore di quel patto...
Renzo De Felice: Ma saranno i fascisti a non applicarlo...
Paolo Spriano: Anche i socialisti non lo applicarono dappertutto...
Renzo De Felice: Però l’iniziativa di denunciarlo è dei fascisti
e, poi, di Mussolini, che altrimenti non riuscirebbe a controllare un
movimento che non è ancora partito. Direi che la nascita del Partito
Nazionale Fascista è conseguenza di queste vicende. La denuncia del
“patto di pacificazione” da parte dei fascisti è un grosso scacco per
loro. Ed è un successo per i socialisti, perché se nel 1922 una serie di
forze liberali cominciano a fare il discorso dell’accordo antifascista
con i socialisti, vedi Giovanni Amendola e altri, è proprio perché il
Partito Socialista ha dimostrato agli occhi di questi liberali una sua
autonomia dalle forze più sovversive, anarchici e comunisti. Se era
disposto a pacificarsi con i fascisti, il Partito Socialista, a maggior
ragione, dimostra di essere disposto a collaborare con i liberali...
Paolo Spriano: Un successo ben effimero, tardivo, per i
socialisti, posto che lo sia stato. Personalmente non sono d’accordo che
sia stato un successo. La sinistra, nel suo complesso, si scompaginò, e
i socialisti rimasero soli...
Renzo De Felice: La marcia su Roma è una corsa ad impedire la
formazione di una nuova realtà politica italiana. «Ora o mai più!», fu
la famosa espressione di Pareto che Mussolini fece sua. Che tradotto
vuol dire: o prendo il potere subito o non lo prendo più. Perché si sta
manifestando l’ipotesi di una alleanza tra forze cattoliche, liberali e
socialiste, che gli taglia l’erba sotto i piedi...
Paolo Spriano: Però, e prima ancora dell’agosto 1922, il governo
Bonomi e lo Stato si erano compromessi ulteriormente con il fascismo,
consentendo lo scatenamento di un nuovo squadrismo urbano. Io penso che
il film, in via di sintesi, si chiuda correttamente, all’alba del
disastro che porterà Mussolini a raccogliere quello che la sua abilità e
gli errori della sinistra gli scodellarono sul piatto della
monarchia...
-------------------------------------------------------
Morando Morandini intervista Luigi Faccini
Il Giorno, 8 marzo 1980
Nel film ricostruisci un fatto ormai dimenticato. Nella sua Storia d’Italia Dennis
Mack Smith gli dedica meno di due righe (“Più tardi fu creata tutta la
leggenda sui martiri fascisti uccisi nel massacro di Sarzana”) e nel
Dizionario Enciclopedico UTET del 1938 si legge: “Sarzana è rimasta
tristemente celebre nella storia della Rivoluzione Fascista per
l’efferato eccidio di 18 fascisti avvenuto il 21 luglio 1921.”
«Ma non si trattò di un eccidio! La parola implica una condizione di
inermità della vittima di fronte allo strapotere e alla violenza del
carnefice. A Sarzana accadde ben altro. Seicento fascisti, provenienti
dalla Toscana e guidati da Amerigo Dumini, raggiunsero di notte la
città, lungo la ferrovia, armati e provvisti di latte di benzina.
Avevano due scopi: liberare Renato Ricci, poi gerarca di punta del
regime, e una decina di fascisti, catturati e incarcerati dopo una
spedizione punitiva in Lunigiana durante la quale avevano ammazzato
cinque persone, e dare una lezione a
Sarzana, città “rossa”, amministrata da un partito socialista egemone...»
Fu un attacco a sorpresa?
«Al corrente dei preparativi della spedizione, a Sarzana s’era costituito un comitato d’autodifesa che
coordinava le forze politiche della sinistra e quelle formazioni, Arditi
del Popolo in testa, che s’erano spontaneamente organizzate e armate.
Nello stesso tempo era stato stipulato un tacito accordo con le forze
dell’ordine che presidiavano la città, in virtù del quale le
organizzazioni armate delle campagne e della città pattugliavano
intensamente il territorio. Dumini e i suoi furono bloccati sul piazzale
della stazione da una pattuglia al comando del capitano dei carabinieri
Jurgens. Dopo che un caporale della sua pattuglia fu colpito a morte,
Jurgens ordinò di aprire il fuoco. Come scrisse in una relazione
ufficiale, furono sparati 28 colpi, cinque fascisti rimasero uccisi e
molti
feriti...»
E gli altri fascisti uccisi?
«Il numero dei fascisti uccisi è rimasto sempre imprecisato. I contadini
e le pattuglie popolari armate inseguirono gli sbandati che cercavano
di raggiungere la Toscana. Gli
altri morti sono da ascriversi a questa fase della reazione popolare. I
‘fatti di Sarzana’ non sono un eccidio, ma un’aggressione mal riuscita e
una sconfitta dell’ala militare del fascismo toscano.»
Quali furono le conseguenze?
«Al di là del fatto che Dumini ottenne la riconsegna dei fascisti
incarcerati, benché si trattasse di assassini, i fatti di Sarzana furono
sfruttati abilmente da Mussolini che, in Parlamento, e con l’aiuto
della stampa, gridò al «martirio», rovesciando i termini di una
sconfitta nel gioco politico finissimo che, un anno dopo, lo portò al
potere. Riuscì, comunque, a occultare una circostanza che poteva
diventare un pericoloso modello di comportamento antifascista:
l’alleanza tra forze dell’ordine e popolazione armata.»
Che arco di tempo abbraccia l’azione del film?
«Pochi giorni: dal 22 luglio al 4 agosto 1921. Il tempo necessario allo
svolgersi e all’interrompersi della missione di pacificazione condotta
dall’Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza Vincenzo Trani,
plenipotenziario di Ivanoe Bonomi, allora capo del governo e ministro
degli Interni. Il democratico Trani - definito da Mussolini «vecchio
arnese nittiano», inviso alla prefettura di Genova e ai fascisti locali –
fu sostituito.»
Da quale angolazione hai raccontato la vicenda, e quali ne sono i personaggi principali?
«La struttura del film segue il percorso compiuto da Trani nel
ricostruire l’accaduto, ricercarne le cause e identificare le
responsabilità. Il suo intento palese era quello di pacificare senza
reprimere, ottenendo la fiducia delle popolazioni locali e dei loro
dirigenti politici. Tuttavia, Trani era guidato da un obiettivo occulto:
raccogliere prove che dimostrassero le responsabilità dei fascisti per
fornire a Bonomi lo strumento politico che gli consentisse di disarmarli
sull’intero territorio nazionale.»
Trani era l’esecutore di un progetto politico?
«In quel momento si gioca una partita assai delicata: Bonomi sta
trattando con Turati l’adesione del Partito Socialista al suo programma
di governo, in cambio della repressione del fascismo. Una sorta di
centrosinistra ante litteram. Ma il 23 luglio 1921, votandogli
contro, i socialisti restano all’opposizione. La fine della missione di
Trani, e il suo richiamo a Roma, devono essere letti su questo sfondo.
Per me l’epilogo dei ‘fatti di Sarzana’ costituisce una delle più grosse
sconfitte dell’antifascismo. In particolare della sinistra socialista,
ma anche di quella comunista...»
Il film è corale, ma si giova di personaggi che spiccano sugli altri...
«Certamente Trani e Terzi, il sindaco di Sarzana. Poi vengono Giuliani,
il comunista che legge Gramsci e ne assume le analisi, e Jurgens, il
capitano dei carabinieri che ordina il fuoco sui fascisti. Ma direi che
Trani, con la sua inchiesta e la sua relazione, li ingloba tutti. Non ci
sono personaggi ‘tradizionali’ nel mio film. Ognuno di loro è
organizzato intorno a un nucleo politico che ne determina il dire o il
fare. Psicologia e comportamento sono riassorbiti nella fisicità e
credibilità degli attori...»
Che cosa ti ha indotto a scegliere questo argomento?
«Mi interessava l’impasto di spontaneismo, organizzazione politica e
militare, che c’era a Sarzana prima e durante i ‘fatti’. Un insieme che
ha nutrito la generazione che si è poi ritrovata nella Resistenza. A me
interessava rileggere una serie di fatti storici sulla base di
un’ipotesi politica: cooptazione del Partito Socialista nell’area di
governo, ipotesi ricorrente dall’inizio del secolo e che risulta con
evidenza assoluta sia dai libri di storia che dai documenti rinvenuti.
Pensa che la fiducia al governo Bonomi, con il voto contrario dei
socialisti, è del 23 luglio, due giorni dopo Sarzana. E che il 3 agosto
1921 il Partito Socialista e la CGL,
sindacato dei lavoratori, stipulano con il movimento fascista, non
ancora un partito, un ‘patto di pacificazione’. Patto che lasciò la
sinistra italiana inerme e in balia del fascismo armato. A che serve
discutere se l’Aventino fu un errore o no quando all’indomani del
3 agosto 1921 la sinistra non aveva più strumenti di lotta adeguati a
quelli del fascismo armato, per giunta assistito e protetto dalla forza
pubblica!
Ma c’è una ragione ulteriore a monte della mia scelta: che io sia nato
nel Levante ligure e che mi senta profondamente lunigiano. I ‘fatti di
Sarzana’ appartengono alla memoria storica della classe operaia cui
appartiene, con tutti i suoi innesti di marineria, la mia famiglia. Con
questo film ho dato ‘corpo’ linguistico alla memoria orale di un’intera
comunità, di un intero territorio. Ho ‘scritto’ con il cinema quella che
era ormai diventata una leggenda, con tutte le approssimazioni e le
inesattezze che ci sono nel trascinarsi di una memoria esclusivamente
orale...»
Quale è stata la formula produttiva?
«Una normale produzione della Rai, che si è avvalsa della collaborazione
della città, dei suoi abitanti e della sua amministrazione. Esterni ed
interni gratuiti, figuranti e comparse a ‘prezzo politico’, hanno
consentito di realizzare un film che non disponeva di tutta la
copertura. Un’attenzione e una generosità che non dimenticherò mai. La
città e il territorio, in cambio, hanno visto la loro memoria,
sostanzialmente orale, diventare “scritta”, per sempre ed infinitamente
riproducibile. Attraverso il film i ‘fatti di Sarzana’ sono rientrati
nella storiografia nazionale dalla quale il fascismo li aveva espulsi.»
Perché questo titolo?
«Mussolini riteneva ‘perduta’ Sarzana perché ‘rossa’, perché fiera e
inconquistabile per il fascismo. Al di là del mito, trionfale ed
inesatto, di una Sarzana vittoriosa sul fascismo1,
ritengo che Sarzana fu perduta proprio quel 21 luglio 1921, quando la
sinistra italiana - e il Partito Socialista, in special modo - non
ascoltò i segnali politici chiarissimi che venivano da quell’esperienza
di autodifesa contro il fascismo. Nella città perduta di Sarzana è la rielaborazione avventurosa e un po’ western di questa sconfitta della sinistra...».
------------------------------------------------------------