di Marco Penzo da Città Futura Gennaio 2020
Sempre più spesso si sentono in Italia polemiche e contraddittorie affermazioni contro il concetto di antifascismo. Cosa vuole dire antifascismo oggi?
Sembra una tematica che non ha più
senso al giorno d’oggi, ma forse bisogna ricordare a qualcuno, a molti,
cosa significa esattamente essere antifascisti.
Come affermava Antonio Gramsci, figura
intellettuale di spicco del pensiero marxista italiano: “La Storia
insegna, ma non ha scolari”.
Gramsci è anche noto per la frase, tratta da Romain Rolland, “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.
Perché ricordare Gramsci e in particolare queste due affermazioni?
Perché queste due frasi sono a mio
avviso affermazioni corrette e sensate in un contesto antifascista:
Gramsci fu un politico ed intellettuale antifascista, comunista, che ha
affermato come la Storia, da una parte, non ha colpe, ma è vittima,
nonostante le doti virtuose di magistra vitae, delle azioni degli
uomini, che, purtroppo, non riescono a comprenderla, non possono
capirla per via della loro fondamentale ignoranza volontaria.
Ecco, a questa affermazione si
allaccia quella di “pessimismo dell’intelligenza”, perché c’è da una
parte la paura e dall’altra la consapevolezza delle persone più
“competenti” di un’incapacità umana di poter realizzare una società
ideale; a questo pessimismo però deve subentrare inevitabilmente
un’ottimismo, un “sentimento” positivo che deve essere condotto dalla
volontà di cambiare e di migliorare lo status quo.
Citando due volte Gramsci, vorrei esprimere quel sentimento che fa dell’antifascista un uomo sincero nei confronti della Storia.
Essere antifascisti non è
semplicemente una presa di posizione contro la brutalità del fascismo,
che ha abusato del potere e ha strutturato la sua forza sul sopruso e
sull’ignoranza della popolazione. Essere antifascisti è un metodo di
analisi della Storia, uno strumento di valutazione del passato, affinché
quel violento passato non si ripresenti.
Tucidide definiva la sua opera sulla
Guerra del Peloponneso come una “conquista per sempre”, frase che
possiamo associare senza problemi al concetto di Storia, che appunto è
acquisizione attiva del passato, che deve insegnare ad affrontare il
presente per costruire un futuro migliore.
Essere antifascisti è, sì, dunque,
presa di posizione, ma di fronte alla Storia recente: è presa di
coscienza di un passato violento, fatto di olio di ricino e di slogan
ipocriti e belluini, fatto di retorica belligerante e pomposa che ha
impedito lo sviluppo di una società plurale.
Il fascismo è un’ideologia non universale, proprio perché basata sul mito del leader,
dove non è possibile quindi lo sviluppo di altri individui, che non
sono neppure sudditi né cortigiani, ma delle semplici “pedine”; chi non è
pedina,
è eversivo, latitante, e non merita rispetto e spazio nella società.
Il fascismo soffre, inoltre, del mito della nazione “perfetta” (pensiamo al dirigismo fascista, alle Leggi Razziali del 1938…).
Infine, il fascismo è un pensiero
trasformista, prima anticlericale (vedi San Sepolcro), poi a patti con
la Chiesa (vedi i Patti Lateranensi del 1929).
Insomma, il fascismo è un’ideologia
subdola, che non può insegnare niente di buono, niente di valido per
un’intera comunità libera o che vuole essere libera.
Essere antifascisti è un moto
dell’anima, un “mezzo” capace di arginare l’odio e l’intolleranza, così
come la folle unidirezionale politica dirigista e “presumibilmente”
autosufficiente.
Oggi, a causa di certi personaggi, che
sollevano l’odio e l’intolleranza e il mito dell’autocrazia e dell’uomo
forte, il fascismo non sembra essere stato sconfitto: la Resistenza non
è finita e siamo costretti a prolungarla.
Una nuova forma di fascismo si sta
creando: tocca agli antifascisti riportare un ordine che possa
permettere l’evoluzione della società e il principio della solidarietà
fra pari.
Il concetto di Repubblica, fondata da
padri costituenti, sembra affievolirsi sempre più: per questo la forza
propulsiva dell’antifascismo è e deve essere ancora valida.